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Messaggio Da Tatami Mer Mag 13, 2009 8:14 pm

Questo è un mio racconto, nato da uno strambo sogno fatto la notte prima di pasqua!
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Messaggio Da Tatami Gio Mag 14, 2009 10:28 pm

Disorientato

Il sole è alto nel cielo, vedo che tutto mi è sconosciuto. In verità non proprio tutto, in questa che sembra una piazza, una ragazza europea, magari italiana come me, corre disperata.
Mi avvicino e sento lei che parla in Inglese, emettendo anche parole Italiane, per enfatizzare ciò che dice. Capisco poco, c'è chiasso.
Ad un certo punto fa come per avvicinarsi a me, ma, invece, va da un altro beduino e gli chiede:
- Listen. I only have a mobile phone and these earrings. These ones are your. I want 25 Tunisian dinars. La prego.
- Cosa? - Rispose il beduino in Italiano, ma con forte accento arabo - Tu donna, non potere fare affari. Tu essere in Tunisia, tu non avere diritti.
Per me sono parole confuse, senza senso apparente.
Capisco, finalmente, dove sono, ma come ci sono finito? Io mi ricordo di essermi svegliato, aver acceso la tv e poi … basta.
La ragazza, quasi in lacrime si gira in cerca d’altro. In quel momento La riesco a vedere: alta circa un metro e settanta, capelli lunghi e neri, occhi castani e penetranti, una bocca piccola. Indossava una camicia bianca e una giacca da uomo marrone, di almeno due taglie più grandi della sua e una gonna nera lunga, tutta sporca di sabbia. Mi ricorda qualcuna, sembra Vittoria, ma non può essere lei.
All'improvviso, mentre osservavo la ragazza, mi sento tirare i vestiti, così noto anche che indosso abiti da beduino anch’io. Dove li ho presi? Perché li indosso? Intanto la ragazza corre verso di me. Adesso qualcuno mi tira con più forza, non ho il tempo di reagire. Vengo caricato su una vecchia Jeep verde e perdo i sensi, credo di nuovo.

Password

Quando mi sono svegliato un po’ intontito dopo molto tempo. Mi trovo in una casa, credo. Sono sdraiato su un letto e accanto al me vedo un’ombra, sembra una persona. Invece no, è una poltrona e su questa poltrona ci sono dei vestiti puliti e un walkie-talkie.
Mentre guardo la stanza, disorientato, sento aprirsi la porta e vedo un uomo che entra.
- Ciao
- E’?
- Piacere, sono Federico Terrarossa, tu sei...
- Un attimo! Cosa ci faccio qui? Chi sei? E perché...
- Calmo, stai calmo. Come ti ho già detto mi chiamo Federico e sono qui per salvarti. La mia missione è proteggerti.
- Missione?
- Sì. La storia è lunga, complicata. È un segreto, poi non potrei neanche dirtelo, ma adesso è inutile perder tempo. Tu e la signorina Disio siete sotto la mia protezione per le prossime 72 ore. Vi devo proteggere.
- Proteggere?
- Esatto. Credo che tu non lo sappia, ma due giorni fa sei stato rapito dalla KBA e a te e alla signorina vi è stata tatuata una password, metà sul tuo corpo e metà su quello della signorina. Questa password è di vitale importanza per l’agenzia. Voi due dovrete sopravvivere per le prossime 72 ore, dato che, il termine per il completamento del tatuaggio scadrà esattamente alle 13 e 24 di Giovedì.
- Cosa?
- E’ difficile credermi, però è la verità.
- E a cosa servirebbe la password?
- Non lo so. So solo che è importante, molto importante.

Tatuaggio

Sorpreso dalle parole di Federico, mi alzo e cerco altre spiegazioni:
- Dove ho il tatuaggio?
- Sul petto.
Allora mi pongo davanti allo specchio di fronte al letto e mi tolgo il mio abito da beduino e vedo sul mio petto il tatuaggio con scritto questo:
يقع في ولاية نيفادا
. Per mia sfortuna non sapevo l’arabo.
- Cosa c’è scritto?
- Non lo so, comunque adesso non importa questo, ciò che importa ora solo la vostra vita, in questi tre giorni, per scoprire l’intera password.
- Vedo che t’importa molto delle nostre anime.
- E’ il mio lavoro, mi dispiace. Ora lavati e cambiati, poi scendi al piano di sotto, ti aspetto nel salotto.
Io lo ascolto, ma prima di cambiarmi, volevo capire il tatuaggio.
Sono sotto la doccia da più di cinque minuti, ma non voglio uscire; mi rilassa sentire l’acqua che scorre sulla pelle, mi faceva straniare dal mondo, mi sembrava di lavarmi via tutti i pensieri. Non potevo restare lì molto però, allora chiudo l’acqua e mi asciugo in fretta. Vado in camera da letto e mi dirigo verso la poltrona, sposto il walkie-talkie sul letto e prendo i vestiti: un paio di boxer bianchi abbastanza piccoli, dei jeans semplici e una maglietta bianca. Mi vesto. Poi noto che a sinistra della poltrona ci sono un paio di scarpe, che lentamente m’infilo.
Prendo il walkie-talkie per precauzione e vado verso le scale; intanto osservo la casa, vedo che ci sono altre due porte nel corridoio che portano alla scala, sui muri c’è un quadro, la riproduzione del Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich. Sento la voce di Federico, ma non capisco cosa dice. Osservo gli scalini, li conto, sono venti, li conto perché non credo che tutto questo sia vero, li conto perché... perché ho paura. Solo due giorni fa ero a casa, tranquillo, pronto ad aspettare il lavoro, e magari anche il ritorno di Vittoria e adesso sono in Tunisia, e non so nemmeno in che parte della Tunisia. Chissà, troppi interrogativi e poche certezze, anzi pochissime certezze.

Mdhila

Mi faccio forza e scendo, intanto Federico ha smesso di parlare. Arrivo al pian terreno, davanti a me c’è la porta e sono tentato dal desiderio di fuggire, ma poi ragiono e non lo faccio. Alla mia sinistra c’è la sala da pranzo e alla mia destra il salotto: Federico e altre due persone sono lì. La stanza è arredata in modo molto semplice: un divano marrone a tre posti, una libreria con un centinaio di libri riposti in modo disordinato e un quadro che non conosco. Riconosco solo due delle persone nella stanza, Federico e la ragazza di prima che suppongo sia la Signorina Disio. La Signorina si alza e viene verso di me:
- Ciao – e si avvicina sempre di più.
Allora porgo la mano in avanti e dico:
- Salve, lei è la Signorina Disio?
- Ma dai, non dirmi salve, mi fai sembrare vecchia! – dicendo questo sposta la mia mano e mi abbraccia.
- Ehm... – divento rosso dall’imbarazzo, perché adesso sembra quasi un’altra; adesso indossa un top bianco molto attillato e sopra una giacca marrone, ma stavolta della sua taglia, dei jeans molto attillate e degli stivali marroni. Ma la cosa che mi ha colpito è il suo profumo, poi il rossetto color vermiglio ed il suo sorriso: mi ricordava Vittoria. Era stupenda.
- Ci sei?
- Sì, scusami
- Meno male, finalmente mi dai del tu, infondo abbiamo la stessa età!
Cosa? Lei ha 20 anni? Non sembra vecchia, ma non ne dimostra 20, sembra più donna. Allora mi faccio avanti:
- Mi spieghi come fai, ad essere così allegra, in questa situazione?
- Guardo, la verità è che non lo so!
- Cosa?
- Scusatemi – s’intromette Federico, che finalmente vedo in faccia. Anche lui mi ricorda qualcuno... ma di preciso non so chi. Adesso che sono completamente lucido noto che Federico è ancora più imponente di prima.
- Io e la signorina andiamo in macchina a preparare il viaggio, tu aspettaci pure dentro.
Mi sento confuso, voglio spiegazioni:
- Mi devi delle spiegazioni!
- Non adesso, se vuoi delle risposte, chiedi a Chris.- indicando l’uomo dall’altra parte della stanza, quello che non conoscevo. Federico e la ragazza escono.
- Prima cosa, dove ci troviamo?
Chris mi guarda perplesso. Penso “ Non è italiano, quindi non sa l’italiano. Che scemo che sono”. Però, prima di poter riformulare la domanda in inglese, Chris parla:
- Ci troviamo a Mdhila, nella periferia.
- Ed in che parte della Tunisia è?
- Centro, più o meno.
- Ok. Tu sai cosa mi è successo in questi due giorni?
- No, ma so chi lo sa. Chiedilo a – Chris non termina la frase perché il rumore di uno sparo irrompe nella stanza. Chris cade a terra.

Morto

D’istinto mi butto a terra anch’io. Striscio verso Chris e vedo che intorno a lui si allarga una pozza di sangue.
- Oh, stai giù! – urla da fuori Federico.
- Sono già a terra, Chris è morto! – in verità non sapevo se è veramente morto, ma il sangue è troppo e poi non si muove. Non so che fare, non mi è mai capitato. Intanto piovono proiettili, vedo i buchi nel muro: sono 10, 11, 12, 15, 20, sempre di più.
- Ascolta, sotto il divano, c’è una 92FS, prendila. – ascolto il consiglio di Federico, mi trascino fino al divano, intanto sopra di me la raffica di proiettili non termina. Sotto il divano trovo una piccola scatola, la apro: c’è una pistola, una Beretta 92FS. “Ecco cos’è la 92FS”. Tremo all’idea di sparare. Gli unici esseri viventi che ho ucciso sono le zanzare. La impugno, ma la mia mano trema. I proiettili cessano di volare sopra di me, credo che è tutto finito. Sbaglio.
- Sali al primo piano! – ascolto Federico e piano piano, strisciando, mi dirigo verso gli scalini; faccio uno scatto e salgo in fretta gli scalini, mi sorprendo della mia rapidità. Mi fiondo in fondo al corridoio e guardo fisso le scale. Gli spari a mano a mano diminuiscono e sento delle urla.
- Uno è entrato! – urla con tutta la sua voce Federico da fuori, un urlo parzialmente coperto dagli spari.
Sento correre sulle scale, alzo la pistola e aspetto. Quattro secondi, ci mette quattro secondi. Vedo l’uomo girarsi verso di me con un fucile puntandolo verso di me ed io, d’istinto, sparo un colpo, lo colpisco in mezzo agli occhi. Cade a terra in pochi istanti. Ho ucciso un uomo.
- Cazzo ho fatto? Oh my god!
Ecco i miei primi pensieri. Sono felicemente inorridito. Mi fiondo verso di lui, è a terra. No gli esce sangue, sguardo fisso, sembra mummificato.
Dietro di me c’è un’altra persona, ma non mi preoccupo. Non m’importa chi sia, sono terrorizzato, sì, ma da me!
Fortuna la voce mi rassicura, è la Disio:
- Ehi, tutto a posto?
- No! L’ho fatto fuori.
- Ma lui...
- Ma lui un cazzo! L’ho ucciso.
- Hm! Ascolta, ti capisco.
- Non puoi capirmi.
- Sì, invece, ti posso capire benissimo. Anch’io ho ucciso una persona, ho ucciso mio padre.
A queste parole, distolgo lo sguardo dal cadavere. Sono impietrito, lei, a 16 anni lei a commesso un omicidio e per di più ha ucciso suo padre. “Sono dalla parte giusta?”: la mia risposta è…



Passato

- È una storia lunga:
<Era estate, faceva caldo, se non ricordo male, era Luglio ed era uno splendido venerdì, ma un venerdì sbagliato, un venerdì 17.
Verso le sei di sera, mio padre tornò a casa, ubriaco, come al solito. Io ero seduta sul mio letto che leggevo per l’ennesima volta il mio libro preferito, mentre mio fratello era nel salotto a vedere la tv. Sentii sbattere la porta e poco dopo un urlo. Corsi in salotto. Mio fratello era a terra che sanguinava e mio padre, tranquillo era lì, con un coltello sporco di sangue in mano. Ero spaventata, mi sforzavo di pensare che mio padre lo stesse aiutando, ma non era così. Stava per sferrare un’altra coltellata a mio fratello, ma mi feci forza e buttai a terra mio padre, presi mio fratello in braccio e che una forza non mia portai fuori mio fratello e lo caricai sul furgone di mio zio. Salii, lo misi in moto e corsi fino all’ospedale: lo salvarono per miracolo.
Dopo solo due ore vidi mio padre entrare nel reparto rianimazione, sembrava più lucido, ma il suo sguardo era perso e terrificante; mi fissò e accelerò il passo, zoppicando notevolmente, forse per il colpo subito due ore prima. Ero in preda al panico, terrorizzata. Naturalmente conoscevo mio padre da 16 anni, tutta la mia vita, ma dal giorno in cui mia madre morì misteriosamente in quell’incidente, mio padre cambiò; prima di quel maledetto venerdì, avevo passato quasi un anno ad occuparmi di mio fratello, perché mio padre era sempre ubriaco, a volte neanche tornava a casa, ma ormai ero abituata a vederlo in quello stato che neanche mi accorgevo che peggiorava. Forse perché si sentiva responsabile della morte di mamma, quel venerdì notte, mentre tornavano a casa dopo aver accompagnato a casa mio cugino.
All’improvviso due medici lo fermarono e gli parlarono, credo delle condizioni di mio fratello, allora io tentai di fuggire, ma qualcuno mi fermò: era un dottore. Mi disse che non potevo muovermi da lì finché non arrivava un mio genitore, ero minorenne e non potevo fare nulla senza quel mostro di mio padre.
Mio padre lasciò i dottori e si avvicinò a me: ero terrorizzata. Mi sussurrò una cosa all’orecchio:
- Se torni a casa, ti preparo una bella cenetta, ti va? Dimentichiamoci di questo piccolo incidente, ok? Non è successo niente piccola.
Ero rimasta impietrita a quelle parole, sembrava tornato normale, se così si può dire.
Poco dopo mio fratello si svegliò e mio padre firmò per portarlo a casa, contro il volere dei medici. Quando lo caricò in macchina, io lo scaraventai di nuovo a terra e misi in moto; scappai via dall’ospedale, verso casa di un mio amico: l’unico modo per salvarlo ero portarlo via da mio padre.
Fortunatamente il mio amico ci ospitò senza problemi, gli raccontai tutta la storia e s’inorridì, incredulo. Sembrava uno di quei film dell’orrore, ma purtroppo era la verità.
L’epilogo di questa storia avvenne il giorno seguente.
Mio padre ci trovò ed entrò sfondando la porta della casa del mio amico: eravamo soli in casa solo noi due e mio fratello; corse verso la camera di Fede e la aprì ma fortunatamente era vuota. Poi si diresse verso l’altra camera ma io, armata di mazza da golf, gli sbarrai la strada. Ero spaventata, ma sapevo che dovevo fermarlo, ad ogni costo. Mio padre era armato anche lui, con quel coltello con cui avevo ferito mio fratello, tentò di colpirmi ma prontamente spuntò dal bagno Fede, con in mano un filo, che avvolse intorno al collo di mio padre e lo tiro verso il bagno; cercò ti tenerlo a terra, ma siccome mio padre era molto grosso e forte, scaraventò Fede contro la vasca da bagno, che perse quasi conoscenza. Cercò di recuperare il coltello ma Fede lo atterrò con uno sgambetto e gli diede un calcio in testa. Mio padre perse i sensi.
Potevo chiamare i carabinieri, invece presa dall’odio di quello che avevo fatto a mio fratello, a mia madre e a Fede, che era a terra sanguinante, presi il phon che era sul lavandino ed inserii la spina, poi lo gettai addosso a mio padre e presi il secchio d’acqua sotto il lavandino e lo gettai con cautela su mio padre, che dopo pochi secondi morì fulminato.
Ero shockata da quello che avevo fatto. Fortunatamente Fede aveva solo una ferita alla testa, lieve.
Sembrò che mio padre morì per un banale incidente, ma non fu così.
Io, in verità, scoprii solo dopo un mese, nel giorno del suo funerale, che era stato lui a uccidere mia madre, picchiandola a morte: me lo rivelò il suo migliore amico che si scusò per non avermi asserito la verità.>.
Lo so cosa stai pensando di me. Sono una criminale, ma per me fu l’unica soluzione.

Sono sorpreso dalle sue parole, anche se sorpreso, non è l’aggettivo più adatto.
Mentre sono in ginocchio, mentre ragiono sul racconto, sento una mano sulla spalla: è quella di Federico.
- Ora è meglio se ce ne andiamo.
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Messaggio Da Tatami Gio Mag 14, 2009 10:28 pm

Ne-34.12;46.32

Cerco di alzarmi, e nel farlo noto uno strano tatuaggio sull’avambraccio sinistro del cadavere, dimenticato un po’ da tutti. Ne-34.12;46.32
- Che cosa vuol dire?
Federico, stupito, si gira: - Cosa?
- Quel tatuaggio!- e indico il braccio.
- Cosa c’è di strano?
- Mi ricorda qualcosa.
- Cosa?
- Mi pare di averlo visto su internet, ha qualcosa di familiare.
- Internet?
- Sì, su numerosi forum mi sembra di averlo visto, tra le pubblicità e i ban.
- Forum?
- Sì.
- Di che tipo?
- Aspetta.- Frugo nella tasca dei pantaloni, ma ovviamente, non lo trovo.
- Che cosa cerchi?
- Niente, il mio cellulare.
- A cosa ti serve?
- Volevo vedere i siti. Poi, se ci cercano, se entro in internet, ci localizzano subito.
- Vuoi il mio?
- Ma se ci trovano?
- Non ti preoccupare, ho il telefono giusto. Il mio indirizzo IP passa prima da 125 server sparsi in tutto il mondo. Non sono uno sprovveduto.
- Magari prima fotografo il tatuaggio, poi vedrò, dobbiamo anche partire, giusto?
- Certo. Comunque, tieni!
Federico mi porge il suo cellulare, io lo prendo. Scatto una foto al tatuaggio poi, tutti e tre, ci dirigiamo verso il piano terra. Scesi tutti i gradini, vedo un altro cadavere sulla porta: Federico e la signorina lo scavalcano, io, prima di farlo mi chino sul cadavere e cerco il tatuaggio sul braccio. Il tatuaggio c’è ed è uguale a quello dell’altro uomo.
Federico ha già messo in moto l’auto, una vecchia Jeep, graffiata dai proiettili sparati in precedenza.
Corro verso l’auto e salgo sul sedile anteriore: fisso il cellulare, fisso la foto, ignorando tutto il resto.
Cerco nei vari forum che visito, ma non per molto: il ban lo trovo già al terzo forum, ma la cosa strana e che non rimanda a un sito, ma a ben tre siti internet. Il primo è un sito di prodotti tipici tunisini e non c’è niente di anormale; il secondo sito era completamente in Arabo e tradotto, non contiene niente; pure il terzo sito, niente di anormale. Li riguardo ancora, ma non c’è niente. Panico!
Poi guardo in fretta i tre titoli, e, per sbaglio, noto che in tutti e tre i titoli dei siti, c’è una parte in inglese e alcune lettere della parte in inglese sono in corsivo e si ripetono in tutti e tre i titoli; compongono la parola “gafsagare”.
La leggo ad alta voce, e Federico mi chiede:
- Che cosa vuol dire?
- Non lo so, è l’unica cosa strana di questi tre siti. Per di più questa parola è nascosta.
- Nascosta?
- Sì, ma è stato semplice scoprirla.
- Ho capito! – ci interrompe la signorina.
- Davvero?
- Sì. Sono due le parole: Gafsa Gare. È una città poco più a nord, qui in Tunisia.
Sono sorpreso da come conosce le città tunisine.
Cerco una mappa per arrivare a Gafsa Gare: la trovo, anche se con fatica.
- Ma come fai a conoscere così la geografia tunisina?
- Semplice, sono laureata in geografia.
- Ecco perché. Un attimo, tu hai 20 anni, come fai ad essere già laureata?
- Storia lunga, sono tutte lunghe le mie storie. Dopo aver ucciso mio padre, sono andata negli USA da mia zia e lì in 3 anni e mezzo ho frequentato l’università e poi sono tornata qua in Italia. Era meglio che restavo là.
- Forse sì.
- Ora, come raggiungiamo Gafsa Gare?
- Se percorriamo tutta la C123, arriviamo alla P15, svoltiamo a sinistra poi la percorriamo fino all’uscita di Gafsa Gare.
- Ma è tanta la strada?
- Ci vogliono all’incirca 1 ora e mezzo. – Federico si gira verso di me e mi dice:
- Io la posso anche fare in meno tempo.
Parte sgommando verso la C123.
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Messaggio Da Tatami Sab Giu 06, 2009 2:19 pm

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